La morte dello studente friulano durante l’esperienza di alternanza scuola lavoro non può non lasciare sgomento tutto il mondo della scuola, sia per le modalità con cui è avvenuta, sia per le inevitabili recriminazioni che ne sono seguite. Nessuno meglio di chi vive ogni giorno la quotidianità della vita scolastica ai vari livelli, a partire dal dirigente fino all’ultimo collaboratore scolastico, può capire il dramma consumatosi in questa triste mattina di gennaio. Che poi è il dramma che si è consumato in più di una circostanza anche in contesti d’aula, in contesti cd. protetti, sia pur con motivazioni diverse. Questo però non ci esime dal tentare un’analisi scevra da condizionamenti emotivi e da impalpabili retaggi ideologici, questi ultimi come sempre volutamente amplificati dai media nazionali e locali.
I percorsi di alternanza scuola lavoro (oggi PCTO) non nascono con la finalità di un precoce avviamento al lavoro, ma come una modalità complementare ed integrativa dei tradizionali percorsi curriculari di tutti gli indirizzi di studio, in primis dei tecnici e professionali, e poi anche dei licei, sulla scorta di una visione metodologico-didattico, per altro fatta propria da tutti i paesi europei, di una formazione scolastica incentrata non più e non solo sulla centralità della didattica trasmissiva, ma di una didattica tesa a valorizzare dinamiche di apprendimento di tipo cooperativo, laboratoriale, dell’imparare facendo, in contesti formali, informali e non formali di apprendimento al fine di «…favorire l’orientamento dei giovani, valorizzarne le vocazioni personali, gli interessi e gli stili di apprendimento individuali».
Non si tratta, dunque, di una precoce canalizzazione in percorsi minoritari di avviamento al lavoro, ma di una metodologia didattica tesa a mobilitare più e meglio le competenze (cd. skills) di natura cognitiva, emotiva, motivazionale e sociale non solo in contesti d’aula, ma anche extra-aula, in una visione olistica del sapere avvalorata da principi costituzionalmente previsti di diritto-dovere al lavoro quale strumento per la crescita economica, sociale e morale dei cittadini (art. 1, 4 e 35 della Costituzione), e da direttive europee in materia di istruzione e formazione che sottolineano la necessità di garantire maggiore occupabilità ed esercizio dei diritti di cittadinanza attiva. Lo stesso E.Q.F. – European Qualification Framework – definisce come competenza «la comprovata capacita di utilizzare conoscenze, abilita e capacita personali, sociali e/o metodologiche, in situazioni di lavoro o di studio e nello sviluppo professionale e personale descritta in termini di responsabilità e autonomia e con l’obiettivo di promuovere la mobilità transfrontaliera dei cittadini e agevolarne l’apprendimento permanente».
Questa è la cornice normativa nella quale inquadrare i suddetti percorsi che vedono ogni anno centinaia di migliaia di studenti approcciarsi al sapere non solo in modalità meramente teorica, ma anche in contesti reali di apprendimento fortemente diversificati a seconda degli indirizzi di studio e dei settori economici di appartenenza. Ed è di tutta evidenza che proprio in alcuni di questi contesti possa amplificarsi il rischio di esposizione a fattori potenzialmente lesivi dell’incolumità personale. Si pensi agli studenti degli agrari, degli alberghieri, del settore della meccatronica per i quali, diversamente da altri, il rischio è potenzialmente più elevato.
E’ questo il contesto in cui va inquadrata l’attività di alternanza, contesto dove parlare di istruzione (sapere) senza formazione sul campo (saper fare) e cultura generale (saper essere), e dell’uno e dell’altro temporalmente collegati in maniera sincrona, diventa una necessità ineludibile.
Ecco perché non ha senso attaccare alla radice i suddetti percorsi, ma diventa importante, comprendendone la valenza, cercare di migliorarli nella loro fase attuativa, magari anche con adeguate risorse umane e finanziarie negli ultimi anni fortemente decurtate. Se poi consideriamo, come pare dalla prime ricostruzioni, che nemmeno di percorsi di alternanza trattasi, bensì di percorsi di IeFP (Istruzione e formazione professionale) a contenuto formativo decisamente più pratico ed operativo, il quadro è completo.
Abbracciando una versione fordista, peraltro smentita da decenni dalla storia, si descrive una condizione di sfruttamento degli studenti in alternanza da parte delle aziende, quasi gli stessi fossero dei braccianti agricoli dell’America centrale, i cd. peones! Quando, invece, in tantissime realtà i suddetti percorsi si realizzano in modalità foriere di grandi opportunità occupazionali per gli studenti in uscita dai percorsi scolastici di secondo grado, e comunque di una grande valenza orientativa per la costruzione di un realistico progetto di vita che, piaccia o non piaccia, passa inevitabilmente dal lavoro, nelle sue accezioni etiche, professionali, e culturali. A patto che per cultura intendasi la capacità acquisita attraverso tutte le esperienze di vita, ivi incluse quelle scolastiche, di acquisire orientamenti, attitudini, abiti mentali capaci di interpretare al meglio la realtà adattandola ai vari contesti di appartenenza, ed acquisire piena consapevolezza dei propri diritti e doveri, per la definizione di una propria identità personale ed una consapevole cittadinanza attiva. Proprio perché, nella persona, la “cultura” è sempre unitaria e onnicomprensiva, non tollera né confusioni, né amputazioni: è in ogni momento, ancorché in modi e forme differenti, un fare, un sapere ed un agire intrecciati ed esperiti in situazione da un soggetto che conferisce loro senso.
Agli studenti in rivolta (prevalentemente dei licei romani che magari hanno un futuro già assicurato dai propri padri…) andrebbe spiegato che stanno scioperando contro se stessi o, quanto meno, contro quei compagni di classe che un futuro devono costruirselo già durante il proprio percorso di studi, anche con esperienze cd. extrascolastiche, ma che extrascolastiche non sono.
Al governo DIRIGENTISCUOLA non può che chiedere un rinnovato impegno nel garantire risorse umane e finanziare adeguate per poter realizzare e monitorare al meglio i suddetti percorsi sia durante la loro fase organizzativa, che attuativa.
Il problema come sempre non è il se, ma il come!