Dopo l’introduzione del sistema di valutazione per la dirigenza scolastica, attuato a distanza di un quarto di secolo dalla legge sull’autonomia scolastica, è arrivato il momento di affrontare una riforma fondamentale: quella degli organi collegiali. Se la dirigenza scolastica ha acquisito maggiore autonomia e responsabilità nella gestione, è ora necessario intervenire sugli organi collegiali, che da oltre cinquant’anni regolano la partecipazione nelle scuole.
In una lettera inviata oggi al Ministro dell’Istruzione e del Merito, DIRIGENTISCUOLA esprime la sua convinzione che la riforma degli organi collegiali non possa più essere rimandata. L’attuale normativa, risalente al D.P.R. 416/1974, attuativo della legge delega 477/1973, ha istituito gli organi collegiali come strumenti di partecipazione democratica, in un contesto storico in cui la scuola era pensata come una comunità aperta alla società civile. Sin dai primi anni sono emerse criticità. Da decenni si parla di riformarli. E’ ora di passare dalle parole ai fatti!
In Italia, diceva Prezzolini, nulla è più definitivo di ciò che è provvisorio. Aggiungiamo la resistenza al cambiamento tipica del nostro sistema.
La scuola non fa certo eccezione, anzi.
Il mondo è cambiato: l’uomo è sbarcato sulla Luna, la crisi petrolifera ha rivoluzionato i mercati planetari, abbiamo vissuto il dramma degli anni di Piombo, è stato eletto il primo Europarlamento, è caduto il muro di Berlino, si è disgregata l’Urss, sono nati nuovi Stati, ci siamo globalizzati, si è estinta la Prima Repubblica e si parla di quarta!
I cambiamenti sono naturali e necessari fuorché nel mondo scuola molto resistente a qualsivoglia cambiamento.
Nella nostra scuola, edifici secolari a parte, c’è qualcosa di ancora più immutabile, ancorché nato anch’esso in una stagione di “sperimentazioni”: sono gli inossidabili Organi Collegiali, introdotti nel 1974 dai cd. “decreti delegati”, più propriamente provvedimenti attuativi (emanati di norma, prima della legge 400 del 1988, mediante DPR) della legge delega 477/1973.
Accolti non senza un lungo strascico di polemiche, poi partiti sull’onda di una scuola che si rinnovava, si democratizzava e si apriva alla partecipazione delle diverse componenti della società, hanno ben presto mostrato di arrancare fra mille criticità, e l’impressione è che, negli anni, il loro ruolo si sia progressivamente assottigliato da ideale (e perlopiù astratto) luogo di governance e decisioni condivise, a baluardo di una certa concezione di scuola che oramai non trova più riscontro nell’effettiva realtà sociale del Paese.
Come dare torto al sociologo Giuseppe De Rita, quando già nei primi anni Settanta faceva notare che “l’esperienza di partecipazione e di gestione sociale rischia grosso se non si rende conto di tale ingovernabilità”, sottolineando che “forse di tutto si parlerà meno che dell’esigenza e delle possibilità di dare più governo, a tutti i livelli, alle strutture scolastiche”?
E così ti imbatti in giunte esecutive convocate sulla carta solo quando è fatta questione di bilancio (altrimenti i revisori possono fare osservazioni…), in consigli di classe, interclasse e intersezione che chiedono insistentemente di riunirsi online anche per effettuare le programmazioni disciplinari (attività che necessiterebbe più di altre di un confronto in presenza), in consigli di Istituto che affrontano nel disinteresse generale l’innalzamento del limite per gli affidamenti diretti e l’adozione del Piano dell’Offerta Formativa salvo poi discutere per ore sulla qualità della frutta servita in mensa, in collegi docenti in cui il dibattito sulla didattica è ridotto al lumicino salvo poi cercare di forzare le norme con votazioni dimostrative contra legem che sanno più di sterile polemica politica che di reale riflessione sugli indirizzi didattici da imprimere alle scuole.
Le stesse elezioni degli OO.CC. sono un’impresa: per reperire candidati bisogna pregare genitori e personale.
Le cose non vanno meglio se si tirano le somme sul coinvolgimento delle famiglie, la cui partecipazione, nella migliore delle ipotesi, si riduce ai soliti triti cahier de doléances nati rigorosamente nelle famigerate chat di classe in cui tutti dicono la loro dalla tastiera dello smartphone. Senza contare che anche l’idea stessa della rappresentanza segna il passo: i genitori, e quando diventano grandicelli anche gli alunni, sono sempre meno propensi a “farsi rappresentare” e a rispettare il ruolo di chi li rappresenta (conditio sine qua non per il buon funzionamento degli organi), e tendono sempre più ad agire individualmente.
Insomma, si cerca ancora la partecipazione? Si crede davvero, come credevano i “padri fondatori”, che serva ancora dare voce in seno alla scuola alle componenti di una società sempre più disinteressata, individualista e individualizzata, in cui si sta perdendo il senso delle ideologie di massa (i pirandelliani “lanternoni”) e si costruiscono morali ed etiche ad personam?
I “mostri sacri” sono sempre difficili da mettere in discussione, ma crediamo che non si debba nemmeno avere eccessivo timore di farlo. Anche perché gli Organi collegiali, messi a confronto con una società che è radicalmente mutata (così come lo scenario storico e politico globale), non sono nemmeno quello che il legislatore dell’epoca aveva in mente, e finiscono per tradire le medesime attese positive che suscitarono in quegli anni lontani.
E che dire delle elezioni delle RSU e dell’invenzione del conteggio dei voti nel determinare la rappresentatività delle OO.SS.? La rilevazione dovrebbe basarsi sul conteggio delle deleghe non sulla media dei voti per “pompare” il numero delle deleghe. Un mondo sconosciuto ai più ma che resiste al cambiamento di chi ne beneficia.
Bisogna avere il coraggio di cambiare e riformare. Ed è questo che DIRIGENTISCUOLA chiede al Ministro Valditara!