Addirittura una Conferenza nazionale sulla scuola, ma di un solo giorno! Del tutto inutile e controproducente: per sentirsi ridire e deridere da una pletora di vocianti sigle coalizzate, vieppiù amplificate dai riflettori dei mass media, che la madre di tutte le riforme non s’ha da fare, punto!
E che bisogna solo stralciarvi il piano assunzionale di un proliferante precariato – composto sicuramente da docenti super qualificati, ma anche da chi nelle scuole non ci mette piede da anni e/o da chi, casualmente, si è trovato a calpestarne i pavimenti per un lasso temporale più o meno ragguardevole. Insomma, dentro tutti e poi si vedrà quello che sapranno o potranno fare; con buona pace di coloro che aspirano all’insegnamento percorrendo la via maestra del concorso ordinario, tracciata dall’articolo 97 della Costituzione, ma le cui porte resterebbero sbarrate per almeno un ulteriore triennio. Quante volte, verificando che oltre il 90% del personale docente è stato immesso in ruolo ope legis, con le conseguenze ben note, si è gridato allo scandalo?
E per il resto? Per il resto del disegno riformatore – opinabile quanto si voglia – la competenza, naturalmente, è dei tavoli negoziali, cioè un affare privato, siccome l’intera materia incide sul sacro rapporto di lavoro: dunque sottratta al Parlamento, vale a dire all’organo rappresentativo della sovranità popolare: certamente inclusiva di quelle centinaia di migliaia di strenui oppositori domestici, ma non di meno dei cinquantanove milioni di cittadini silenziosi, che pure hanno un interesse, diretto o indiretto, per una scuola decente e che non vada in malora.
Quanta ragione aveva Livadiotti ne “L’altra casta” nel denunciare che la rovina del sistema italiano è da attribuire alle OO.SS. e alle debolezze (o convenienze!) della politica. E’ bastato un manipolo di contestatori e l’enfatizzazione della stampa e dei mass media per decretare il permanere dello statu quo.
Sembra dunque averci ripensato, il nostro presidente del Consiglio. E tra quarant’otto ore – se non vi sarà l’ennesimo revirement – sarà pronto un maxi emendamento su cui porre la fiducia e così chiudere la partita.
Allo stato degli atti è l’unico strumento a disposizione per la sua sopravvivenza. Ma non sappiamo quanto rimarrà della buona scuola in esito al prezzo che dovrà aver pagato alla sua turbolenta minoranza interna che fa da sponda alle centrali sindacali di comparto e sindacatini autonomi, dei cui numeri ha bisogno per non rischiare di dover far fagotto. Questo è il punto!
Più che i superpoteri del preside, un’autentica balla spaziale e furbescamente un falso bersaglio, si vocifera – a proposito del prezzo – che sarà decretato il de profundis degli albi territoriali e della correlata, e coerente, individuazione dei docenti ritenuti idonei dal dirigente scolastico – supportato o meno da comitati e/o organi interni professionali – alla realizzazione, con inerente vincolo, del Programma, o Piano dell’offerta formativa, triennale.
Perché il vero obiettivo dei sindacati della scuola è lo smantellamento degli istituendi albi territoriali che, in concorso con i potenziati poteri del dirigente e la creazione dell’organico dell’autonomia, sgretolano – in fatto – il barocco apparato impiegatizio su cui hanno fin qui fondato il loro potere, delle crescenti e ramificate tutele di un personale remunerato sì da pezzente, ma posto al riparo da qualsivoglia valutazione delle proprie prestazioni; apparato fatto di punteggi, di precedenze, di numero della prole, di riavvicinamenti al coniuge e familiari, di infinite graduatorie, in una parola di tutti quegli automatismi che dovrebbero, ancora e sempre, consentire di spostarsi ogni anno per trasferimento, assegnazione provvisoria, utilizzazione, così come di svincolarsi liberamente da un incarico o nomina, sempre a base volontaria ovvero attraverso passaggi democratici negli organi collegiali o nei debordanti contratti d’istituto, e sempre liberamente rinunciabili, punto o poco importando la prosecuzione di un progetto o la vanificazione di una sperimentazione in corso, atteso che non esistono – per definizione – diritti degli alunni o studenti, derubricati in varie ed eventuali.
Se questo sarà il prezzo della sopravvivenza di Renzi, è certo che a pagarlo sarà interamente la scuola-impieghificio. Che resterà irrimediabilmente nella palude in attesa di una sua naturale consunzione, che i venti della vicina Grecia potrebbero accelerare. Vico ha sempre ragione! Bisogna toccare il fondo, distruggere tutto per poi ricostruire sulle ceneri e sul sangue perché le vere riforme della storia non sono mai state riformiste bensì rivoluzionarie.
Se “Parigi val bene una messa” al punto che Enrico IV arrivò ad abiurare pur di salire sul trono di Francia, per Renzi la “Buona scuola” non vale quanto Palazzo Chigi!