Il quadro tinteggiato è desolante, anche per chi, come DIRIGENTISCUOLA, ha denunciato da sempre, nel silenzio – se non nell’aperto ostracismo – dei sindacati generalisti di comparto ed altresì maggioritari nell’Area V, l’invereconda situazione della dirigenza scolastica, recintata nella riserva indiana a contemplare la sua sublime e mai persuasivamente declinata “specificità”.
Senza se e senza ma, il Dossier, sostenuto dall’incontrovertibile eloquenza dei numeri, sferra pesanti – e, si spera, salutari – pugni nello stomaco: che quelli scolastici sono “Dirigenti di serie B”, “Figli di un dio minore”, eppure gravati “di un carico di responsabilità e di competenze di gran lunga maggiori di quelle della dirigenza amministrativa”.
Ora la legge 107/15 li ha sovraccaricati di competenze, e di correlate responsabilità, del tutto estranee a quelle incombenti – per modo di dire – sulla “banale” e non “specifica” restante dirigenza pubblica; solo in minima parte remunerate con gli appositi incrementi del Fondo unico nazionale, che non riesce neanche a compensare i relativi tagli operati a partire dalla legislazione tremontiana. Sicché “il cambio di passo non basta a ridare dignità retributiva ad una dirigenza trattata da sempre come di rango inferiore, se pur oberata di oneri e responsabilità rilevanti”: Alla fine restano, impietosamente, 57.296,20 euro contro 100.076,57.
Fatto uguale il solo importo tabellare, la differenza è data dalle rimanenti voci retributive, laddove si registra uno spericolato capovolgimento della logica aristotelica, in cui l’accidente (l’aggettivo “scolastico”) ha obliterato la sostanza (il sostantivo “dirigente”): citazione rubata – ed è il colmo! – a un componente storico del cerchio magico del sedicente “più autorevole e relativamente più rappresentativo sindacato della dirigenza scolastica”, quinto membro della Pentiade che ha regolarmente sottoscritto, regolarmente replicando la consueta e innocua manfrina di volersi distinguere dalle corazzate generaliste, tutti i deteriori contratti di lavoro, incluse le reiterate e fotocopiate dichiarazioni a verbale che, in luogo di realizzare l’equiparazione normativa ed economica con la dirigenza amministrativa (e con l’eterea dirigenza tecnica), ne hanno progressivamente dilatato la distanza.
Le differenze – prosegue il Dossier – cominciano dalla remunerazione di posizione quota fissa: 3.357,00 euro a fronte di 12.552,00 su base annua, che scolpiscono, “oltre alla notevole sperequazione, l’illogicità del confronto tra i due valori retributivi, in quanto sembrano rilevare funzioni e pesi organizzativo-gestionali di carico notevolmente maggiori per un ufficio amministrativo-tipo retto da un dirigente di pari seconda fascia – un paio di anonime e ben protette stanze con non più da una decina di dipendenti – rispetto ad un’istituzione scolastica-tipo – attorno ai mille alunni o studenti, un centinaio di docenti e ATA e tre-quattro plessi scolastici dislocati in più comuni – mentre la situazione è all’inverso”.
Le stesse differenze, sempre in negativo, sussistono pure per la quota variabile (in media 17.816,00 euro contro 7.954,00) e diventano abissali per la retribuzione di risultato: 26.796,00 e 2.475,00, che peraltro da due e più anni sono stati congelati. E’ il 91% in meno!
E le prospettive, sempre secondo TUTTOSCUOLA, sono plumbee, perché la categoria – o coloro che fino ad oggi l’hanno rappresentata? – non è riuscita a contrastare la sua esclusione dal ruolo unico, “che allontanerà quasi certamente l’obiettivo del trattamento economico perequato, mantenendo l’attuale situazione di svantaggio”.
Vi è poi, nondimeno, un’assurda forbice retributiva interna, dovuta alla combinazione tra i diversi CIR delle regioni e le numericamente oscillanti fasce di complessità, da 3 a 5, in cui sono suddivise le istituzioni scolastiche: una babele di oltre sessanta diverse remunerazioni a parità di prestazioni involgenti le medesime responsabilità, del tutto ingiustificate per chi dipende dall’unico datore di lavoro, quale il MIUR.
E c’è dell’altro, che il Dossier omette. Si tratta della sperequazione dovuta alla cancellazione della retribuzione di anzianità del ruolo di provenienza, fatta salva per coloro che, presidi e direttori didattici, transitarono nella dirigenza nel 2000, dopo un indolore non selettivo corso di formazione di complessive trecento ore e in pratica autogestito; sostanzialmente assicurata, sotto mutata denominazione, ai cosiddetti presidi incaricati in esito al superamento di concorsi riservati non particolarmente cruenti; negata ai vincitori dei più selettivi concorsi ordinari di accesso alla dirigenza pubblica che si conoscano, scontando essi la sventura di provenire direttamente dalla docenza e trovandosi a percepire un paio di centinaia di euro mensili in più se in possesso di una consistente anzianità di servizio. E, insieme al danno la beffa: nel sentirsi statuire da pigri giudici del lavoro aditi che la loro pretesa ad una remunerazione realmente dirigenziale era sacrosanta, ma che ostava un contratto di lavoro liberamente sottoscritto a braccetto da CGIL, CISL, UIL, SNALS e ANP. La motivazione, invero, è stravagante. Ma intanto il messaggio è inequivoco: pigliatevela con chi ha finora firmato tutti i vostri (aborti di) contratti!
Insomma, pare proprio che non se ne esca, presumibilmente fino a quando, esauriti infruttuosamente tutti gradi interni di giudizio, dovrà essere chiamata a pronunciarsi la Corte europea dei diritti dell’uomo, adusa a seguire criteri sostanzialistici più che a farsi irretire da cavilli formali.
Dunque, la categoria si dia pace: “Dirigenti per responsabilità, quadri per stipendio”. Ovvero: “Manager nelle responsabilità ma non nel portafoglio”, dato che – in fin dei conti – sin dal loro, risalente, ingresso nella dirigenza pubblica, per una sorta di “sbilanciamento di natura culturale (la – presunta – atipicità di funzioni), i capi d’istituto non sono mai stati considerati dirigenti a tutti gli effetti”. E poi c’è “anche l’elevato numero degli addetti”. Perché occorrerebbe una cifra molto più consistente di quei quattro spiccioli stanziati dall’ultima legge di stabilità per i prossimi rinnovi contrattuali, neanche il costo di un caffè al giorno. “A prescindere da criteri di equità e giustizia”, servirebbero 97 milioni di euro e per la perequazione della la sola retribuzione di posizione quota fissa, da moltiplicare per quattro se la si volesse estendere alla retribuzione di posizione di quota variabile e di risultato.
Ma c’è un’altra ragione, ed è decisiva, per cui i dirigenti scolastici sono destinati a rimanere “figli di un dio minore”, che il Dossier l’avrebbe riportata – e condivisa – se avesse preso visione della lettera indirizzata da un collega a DIRIGENTISCUOLA. Che riportiamo, ovviamente omettendone la firma:
“In merito al vostro invito a compilare il modello di disdetta da altro sindacato cui sono iscritto, ritengo doveroso comunicare che non è mia intenzione procedere in tal senso, dato che legami affettivi e ideologici legati agli albori della mia remota attività lavorativa mi tengono mio malgrado ancora vincolato ad un sindacato che, oltre ad osteggiare il ruolo del Dirigente, ha fatto di tutto per deludermi e irritarmi. Nonostante ciò, non riesco a svincolarmi dalle idee trasmesse da Di Vittorio e da tanti coloro che, credendoci, hanno fatto la nostra storia. Mi rendo conto che queste parole vi lasceranno perplessi e sconcertati, ma questo è il mio modo di intendere anche se forse errato. Detto ciò, non posso fare altro che doverosamente lodare le vostre iniziative e ringraziarvi sempre per l’impegno profuso. Nel salutarvi, colgo l’occasione per porgere i miei auguri di Buone Festività”.
Ma, forse, se riaprissero i manicomi…