Premessa obbligata: non riusciamo a decidere se, istintivamente, opporre una prorompente indignazione o un sorriso amaro. Di certo non resteremo inerti, sino ad intraprendere, occorrendo, tutte le possibili vie legali.
Perché la misura contenuta nel disegno di legge c.d. concretezza, in discussione nelle competenti commissioni parlamentari – finora silente il sottosegretario Giuliano, attributario praticamente di tutte le deleghe sull’istruzione – è una vera, autentica aberrazione, difficilmente frutto di una deprecabile improvvisazione se la promotrice ministra della Repubblica è una stimata, e professionalmente quotata, donna di legge. Resta così in piedi la – sola – seconda ipotesi: l’ennesimo spot politico che nutre l’ossessione securitaria del partito di appartenenza, che ha promesso ordine e disciplina anche nella scuola, ai cui ingressi installare dispositivi rilevatori delle impronte digitali e dell’iride per scovare i fannulloni o coloro che provassero a “fare sega”, secondo la pittoresca espressione nell’articolo che si legge oggi sul Corriere della sera.
Un’eccezione sembra poter essere concessa ai docenti e, per una sorta di effetto di trascinamento, al personale ATA.
La motivazione formale: sarebbero gli stessi studenti a denunciare il fedifrago e comunque le presenze sono già tracciate dal registro elettronico.
La motivazione reale: non è opportuno irritare un milione e passa di elettori, agevolmente moltiplicabili per quattro o per cinque includendovi le rispettive cerchie familiari e amicali.
Mentre si può tranquillamente dare addosso al dirigente scolastico, oggetto di sfiducia preventiva o, peggio, di conclamata ostilità ; che nell’immaginario collettivo artatamente alimentato e nelle conseguenti proposte di legge dell’attuale compagine governativa è un satrapo arrogante e incompetente, da tenere costantemente sotto controllo: dopo l’avvenuto smantellamento della “chiamata per competenze” e l’irreggimentazione di quel che resta del “bonus premiale”, ora anche con l’introduzione del ricorso gerarchico improprio – come nel disegno di legge della senatrice Granato – per impugnare le sue determine di formazione delle classi, della loro assegnazione ai docenti e su quant’altro ancora residui dei suoi poteri datoriali.
Nell’odierna temperie pare che l’essere legittimi rappresentanti del popolo sovrano esoneri finanche dalla fatica di una sia pur sommaria occhiata alle fonti normative, legali e contrattuali, che non prevedono per i dirigenti scolastici obblighi sull’orario di servizio, ma una specifica clausola sull’impegno di lavoro correlato al funzionamento dell’ufficio diretto (meglio, di una complessa “pubblica amministrazione” cui si è preposti in posizione apicale, legalmente rispondendone in via esclusiva) e considerato ai fini della valutazione del raggiungimento degli obiettivi assegnati, delle capacità organizzative dimostrate, del rispetto delle direttive impartite dai superiori livelli.
Al momento dovrebbe dunque verificarsi se il dirigente scolastico è entrato (quando e quante volte) in ufficio. E – a questo punto – solo per lui andranno impiantate costose strumentazioni. Non solo nei quarantamila plessi scolastici, ma anche dove egli si rechi o voglia/debba recarsi per il compiuto svolgimento della funzione istituzionale: presso gli uffici scolastici regionali e/o ambiti territoriali provinciali, presso uffici vari, alle conferenze di servizio, presso aziende, associazioni culturali e territoriali, organizzazioni del volontariato, sindaci, parroci “et quibusdam aliis”. Oppure no?