Da tempo immemore, a far data dall’articolo 56 del CCNL del 4 agosto 1995, si dà mostra di voler rispettare la volontà del Legislatore, di sostituire in materia di sanzioni disciplinari le tuttora vigenti disposizioni pubblicistiche figuranti negli articoli 492-507 del D. Lgs. 297/1994 (Testo unico della scuola) con la regolazione contrattuale anche per i docenti e personale educativo.
Dopo un lungo periodo di inabissamento, questa primigenia e sterile previsione è riemersa con il CCNL 2016-2018 del comparto Istruzione e Ricerca, il cui articolo 29 impegnava le parti – un Sindacato prepotente e un’Amministrazione condiscendente – in una “specifica sessione” (che si sarebbe dovuta concludere entro il mese di luglio 2018, ma che è abortita dopo un paio d’incontri, giusto per fare un po’ di ammuina), per assicurare in ogni caso “che l’esercizio del potere disciplinare sia effettivamente rivolto alla repressione di condotte antidoverose dell’insegnante e a non sindacare neppure indirettamente la libertà d’insegnamento”.
La formula è poi stata ripresa alla lettera nell’articolo 48 del CCNL 2019-2021, sempre della “specifica sessione” da concludersi ora entro il mese di luglio del 2024, ma anch’essa virtualmente defunta.
Si legge infatti nel comunicato sindacale della CGIL, pubblicato il 17 luglio, che le altre sigle avevano chiesto, nelle ore immediatamente precedenti alla già fissata terza riunione, un suo rinvio, ma incontrando l’opposizione del presidente dell’Aran in quanto ciò avrebbe significato la trattazione del tema nell’ambito della negoziazione per il nuovo triennio contrattuale 2022-2024: ciò è a dire l’estenuante reiterazione di un comportamento ostruzionistico da far invidia alla tela di Penelope.
A squarciare – più che il velo, il consistente manto – dell’ipocrisia è stata l’associazione sindacale guidata da Gianna Fracassi; che, senza tanti giri di parole, ha affermato (o meglio, ri-affermato, perché lo slogan è vecchio di almeno un quarto di secolo) che “non ci sono i margini per poter regolare contrattualmente la materia a fronte dei forti limiti presenti anche nell’ultima e definitiva proposta presentata dall’ARAN. In particolare non risulta abrogata la disposizione normativa (D. Lgs. 75/2017, cd. riforma Madia) che – diversamente dagli altri comparti pubblici – attribuisce al dirigente scolastico il potere di irrogare sanzioni ai docenti di sospensione dal servizio fino a 10 giorni; inoltre non si prevede l’istituzione di un organismo di garanzia a tutela della libertà d’insegnamento… in grado di accertare che l’azione disciplinare avviata nei confronti del docente riguardi la trasgressione di un dovere di servizio e non l’autonoma attività d’insegnamento tutelata dalla Costituzione”.
Evidentemente, per i sindacati di comparto la libertà d’insegnamento è un diritto soggettivo assoluto, un diritto egoista che non tollera qualsivoglia intrusione nella propria sfera giuridica, sì che non può metterci parola neanche colui che è legalmente responsabile della qualità dell’offerta formativa, avente quale primo ed ineludibile elemento costitutivo la qualità dell’insegnamento e dei singoli insegnamenti.
In realtà, e in fin dei conti, se essi fanno il loro mestiere nel tutelare i soci di schiacciante maggioranza (i docenti) dalla loro, ben più esigua, “controparte datoriale” (i dirigenti scolastici) erodendone i poteri, quel che invece – alla buon’ora – si pretende dall’Amministrazione è di non sterilizzare ulteriormente la volontà del Parlamento, legittimo rappresentante del Popolo Sovrano, introducendo in uno dei decreti legge in sede di conversione una sanzione tipica ed autonoma della sospensione sino a dieci giorni anche per i docenti e per il personale educativo; che, secondo un oramai consolidato indirizzo giurisprudenziale della Corte di cassazione, renda effettiva la norma programmatica trasfusa nel D. Lgs. 165/2001 (art. 55-bis, comma 9-quater).