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IL DISSENSO, LA SCUOLA E IL DOVERE DI FERMARE LA VIOLENZA di Attilio Fratta

IL DISSENSO, LA SCUOLA E IL DOVERE DI FERMARE LA VIOLENZA di Attilio Fratta

Riportiamo integralmente l’articolo scritto dal Presidente di DirigentiScuola , Attilio Fratta, che ha suscitato l’interesse della Stampa nazionale, in particolare  delle testata giornalistica ” Libero” che lo pubblica in data odierna.

L’articolo in questione, ricco di spunti di riflessione sul ruolo dell’educazione oggi,  pone l’accento sulla cultura del Rispetto, intesa come valore “absolutus” nel suo significato etimologico, ossia come principio compiuto, libero e sostanzialmente “svincolato” da ogni tipo di condizionamento o contingenza. 

Come operatori della scuola non possiamo non condividere la posizione, bisognosi di valori  imprescindibili  e non negoziabili che diano senso al quotidiano percorso di crescita personale e collettiva.

 

Se c’è un ruolo che, con tutte le forze, vogliamo rivendicare alla scuola, a cominciare da chi quotidianamente le scuole le dirige, è quello di arginare la deriva sociale ormai alle porte.

Troppo spesso, negli ultimi mesi, assistiamo a scene di aggressioni, minacce e insulti nei confronti di personale scolastico, sinistri graffiti sui muri, fantocci dati alle fiamme in un’escalation preoccupante che nulla ha di costruttivo.

Atti da stigmatizzare che da Torino, con l’ignobile rogo dell’immagine del ministro Valditara dei giorni scorsi, sono arrivati fino a Roma, con frasi offensive e minatorie comparse sulla facciata del Ministero di viale Trastevere, un gesto deprecabile da condannare senza mezzi termini. 

L’espressione del dissenso è alla base di ogni vera democrazia. A patto però che lo si faccia con i toni e le modalità di una società civile. 

Non possiamo permettere, nel modo più assoluto, che ci si spinga oltre questi limiti. Non possiamo accettare violente e strumentali campagne denigratorie contro le istituzioni e chi le rappresenta.

Ne va di quella stessa democrazia per cui abbiamo lottato e che siamo in dovere di difendere. Fin dai banchi di scuola.

Ma cosa sta succedendo ai nostri ragazzi? Diciamolo chiaro una volta per tutte: è un facile alibi attribuire tutte le colpe alla rete, ai social, alle pandemie, ai lockdown o a non meglio precisati disagi di giovani generazioni a cui, troppo spesso, tutto è concesso e derubricato a innocua “ragazzata”.

Temiamo che la verità sia un’altra. Emerge forte e chiara dagli appelli accorati di molti colleghi, che lamentano l’incapacità di alunni e famiglie di accettare ogni intervento educativo (un dovere istituzionale della scuola e di chi vi opera) e dalle voci ormai univoche di studiosi e opinionisti: da Crepet, che punta il dito contro  l’attuale generazione genitoriale, a Recalcati, che parla di genitori “sindacalisti dei figli”, fino a Galimberti, che propone provocatoriamente di “abolire il ricevimento a scuola”.

Tutto ciò in un contesto sociale fortemente orientato al disvalore, che inneggia alle sirene del successo senza fatica, soldi facili, popolarità a tutti i costi, in cui la minima frustrazione -per crescere ci vogliono anche quelle- è vissuta come un ostacolo all’autostima (che non coincide con il “tutto mi è dovuto”) o, ancor peggio, una lesione dell’Io da lavare sacrificando valori educativi non negoziabili.

Anche la scuola ha le sue responsabilità, che si misurano soprattutto in termini di perdita di autorevolezza: che dire di professori “troppo amici” che si lasciano andare a condotte non certo in sintonia con il loro ruolo istituzionale? Cosa pensare, all’opposto, di docenti che si accaniscono sugli studenti con comportamenti vessatori che, senza voler giustificare nessuno, portano all’esasperazione?

Anche i dirigenti -e il cerchio si chiude- hanno i loro seri problemi nelle relazioni con un personale scolastico sempre pronto a valicare i confini del rispetto per l’istituzione.

Senza volerci addentrare in equilibrismi sociologici -lasciamo agli accademici il loro lavoro-, ci limitiamo a pensare che qualcosa si possa e debba fare, con un approccio sistemico, non sporadico. Partendo dall’ordinario e dalla quotidianità, senza ridursi a mettere pezze quando ormai è troppo tardi.

Magari, azzardiamo, dalla formazione ed educazione dei genitori prima ancora che dei figli.

Ben vengano i continui ritocchi al voto di condotta, le leggi che inaspriscono le sanzioni per chi insulta o aggredisce il personale scolastico, le proposte sull’Educazione civica e ogni iniziativa volta a portare sui banchi di scuola ciò che altrove non c’è più.

Il problema, però, è più profondo, è innanzitutto culturale e coinvolge tutti gli attori in gioco. Senza la cultura del Rispetto come valore assoluto e non negoziabile, in famiglia come nelle scuole e in tutti gli altri contesti educativi, ogni seme rischia di cadere sull’arida roccia.”

di Attilio Fratta 

 

Articolo “LIBERO Quotidiano”

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