In un momento storico di grande difficoltà, quale quello che sta attraversando il nostro Paese, travolto da uno tsunami sanitario, economico e sociale, un’intera popolazione sta riscoprendo quei valori di solidarietà e fratellanza, purtroppo sopiti negli ultimi tempi, e sta rinverdendo un rinato spirito solidaristico, che va al di là dei meri adempimenti contrattuali statuiti ex-lege.
In un momento nel quale interi comparti della Pubblica amministrazione, in primis sanità e scuola, proprio quelli più falcidiati dalle dissennate politiche di restrizioni economiche degli ultimi anni, cercano disperatamente di far fronte ai legittimi ‘bisogni’ dei cittadini in tema di salute pubblica e diritto all’istruzione, pagando un prezzo altissimo in termini di vite umane e dedizione al lavoro.
In un momento nel quale un intero popolo è disperatamente impegnato nell’ attraversare il guado della più terrificante crisi industriale, economica e sociale dell’ultimo secolo, per certi versi peggiore di quella registratasi nel periodo post bellico.
In un momento nel quale un’intera categoria di docenti ed ATA, con indefesso impegno e dedizione, dà prova di senso civico ed attaccamento al lavoro senza precedenti, mettendo da parte le pur legittime istanze di natura contrattuale e salariale, che pur a pieno titolo potrebbe rivendicare, per garantire il diritto allo studio di milioni di studenti italiani anche da remoto, siamo costretti a leggere di tutto, e non solo in tema di supplenze, da parte di quanti evidentemente non sono o non si sentono italiani o non hanno un minimo di senso civico. Il loro problema è apparire e andare controcorrente.
Capita, per esempio, di ascoltare da parte dei sindacati rappresentativi di comparto che “non sussiste un obbligo per il telelavoro dei docenti”, così come non esiste un obbligo di “garantire le attività funzionali all’insegnamento fino al 3 aprile 2020”, mentre ogni docente deve “essere considerato a disposizione, ma senza l’obbligo di adempiere il suo orario settimanale curriculare”. Scientemente convinti (come potremmo pensare il contrario?) di stare tutelando la categoria, e fermamente intenzionati (come potrebbe essere altrimenti?), a blandire la clava dei “ricorsi legali” nell’ipotesi di atteggiamenti prevaricatori dei datori di lavoro, rei di sfruttare, ancora una volta, la classe lavoratrice.
In un de ja vu di visioni tayloriste del lavoro smentite dalla storia, ma nello specifico dagli stessi lavoratori che si vuole improvvidamente tutelare, sgomenti e sconcertati da tale totale assenza di strategia ed etica sindacale. A tal punto da non comprendere come, forze sindacali di tal fatta, possano richiedere il ritiro di una nota ministeriale (stiamo parlando della nota MIUR 388/2020 a firma del Capo Dipartimento Max Bruschi), rea di aver fornito ecumeniche indicazioni sulla cd. didattica a distanza.
Sottacendo o, peggio ancora, ignorando proditoriamente, ma non è una novità:
a) quelli che invece sono i codificati poteri gestionali ed organizzativi in capo al dirigente scolastico rivenienti dal D.Lgs.165/2001;
b) quelli che sono i conseguenti adempimenti in tema di lavoro a distanza normati dall’art.1 del D.L.6/2020 nella parte applicabile anche alle pubbliche amministrazioni di cui le istituzione scolastiche fanno parte, il cui esercizio può prescindere dal previo accordo tra le parti;
c) quella che è una disposizione codicistica di cui all’art.1258 del c.c. che obbliga comunque il debitore (leggasi in questo caso lavoratore) ad eseguire la prestazione quanto meno per la parte che è rimasta possibile;
d) quella che è una realtà di fatto: che la cd. attività didattica a distanza costituisce una metodologia nella piena disponibilità del docente che la esercita nelle forme e nei tempi che ritiene più opportuni; quindi nel pieno esercizio della libertà d’insegnamento, chissà perché in questo frangente derubricata a mero esercizio retorico;
e) quelle che sono le regole basilari del sistema delle relazioni sindacali, improntate ai principi di correttezza, buona fede, trasparenza e orientate alla prevenzione dei confitti.
E qui una qualche dubbio o domanda nasce spontanea.
Non può essere che magari questa nuova organizzazione del lavoro “a distanza” va in qualche maniera a scompaginare consolidate prerogative sindacali consolidatesi nell’ ultimo ventennio?
Non può essere che magari questa nuova organizzazione del lavoro costringe il sindacato, per come lo stesso è andato configurandosi negli ultimi anni, a dover spostare il focus della propria azione territoriale più sulla qualità della scuola, che sui diritti veri o presunti dei lavoratori?
Non può essere che magari questo mutato scenario lavorativo, con tutte le implicazioni pratiche che esso comporta, ad iniziare dalle pratiche di smart working, per finire alla didattica a distanza, richiede una sfida culturale che il sindacato non riesce ad affrontare?
Non può essere che magari questa disponibilità tout court mostrata dalla classe docente spazza via di fatto quel sottobosco meramente rivendicativo che da decenni costituisce terreno fertile per politiche sindacali sbilanciate tutte verso la tutela estrema dei lavoratori, anche di coloro che non lo meriterebbero?
E che la logica sia quieta non movere et mota quietare? Ai posteri l’ardua sentenza.
Ma capita di legger anche dell’altro, in tema di supplenze, per esempio.
La disposizione di cui all’art.121 del D.L. 18 del 17 marzo 2020, così come formulata, non lascia grossi dubbi interpretativi circa la sua irretroattività, eppure qualche sigla ha cavalcato la tigre: al fine di favorire la continuità occupazionale dei docenti già titolari di contratti di supplenza breve e saltuaria, nei periodi di chiusura o di sospensione delle attività didattiche disposti in relazione all’emergenza sanitaria da COVID-19……… le istituzioni scolastiche statali stipulano contratti a tempo determinato al personale amministrativo tecnico ausiliario e docente ……… anche in deroga a disposizioni vigenti in materia. Così come la successiva nota MIUR 392 del 18 marzo 2020 che, oltre a prevedere la continuità dei contratti in essere di docenza in supplenza breve e saltuaria, a prescindere dall’eventuale rientro del titolare e per tutta la durata dell’emergenza sanitaria, subordina tale nomina, in assenza del titolare, per tutto il personale docente e ATA, alla disponibilità di una propria dotazione strumentale per lo svolgimento dell’attività lavorativa … al fine di potenziare le attività didattiche a distanza.
Posizione da noi palesata in apposito comunicato sindacale dal titolo COME GESTIRE LE SUPPLENZE NELL’EPOCA DEL CORONA VIRUS nel quale ribadivamo di procedere, previa verifica della capienza di fondi, alla proroga dei contratti di supplenza breve e saltuaria in essere alla data del 17 marzo 2020, data di entrata in vigore del D.L. 18/2020. Nonché confermata da una successiva nota ministeriale, circolata però solo in bozza, nella quale si confermava che la suddetta disposizione normativa può trovare applicazione solamente dalla data di entrata in vigore del Decreto Legge, per dare attuazione a quanto previsto per la continuità dei contratti in essere al 17 marzo 2020. Validando, in questa maniera, uno dei principi cardini dell’ordinamento giuridico di cui all’art.11, comma 1 delle preleggi, secondo il quale la legge non dispone che per l’avvenire (non ha, cioè, effetto retroattivo). Pur con tutte le cautele del caso dovute ad una decretazione d’urgenza che in premessa richiama la necessità di favorire la continuità occupazionale e che potrebbe aprire il varco ad una interpretazione estensiva del dettato normativo.
Posizione questa volta condivisa persino da uno dei maggiori sindacati rappresentativi del comparto, ed osteggiata invece solo da alcune frange estreme del sindacalismo barricadero, che non ha perso occasione per diffidare i dirigenti ad adempiere anche retroattivamente. Al pari di uno dei più radicati house organ informativi del paese che in maniera perentoria in data 24 marzo 2020, in risposta ad un preciso quesito posto da un docente, rispondeva che “non vi è dubbio che bisogna prendere come riferimento i limiti temporali di chiusura o di attività didattiche, che a seconda delle zone interessate dai DPCM che sono succeduti, decorrono o dal 3 febbraio o dal 5 marzo, fino (al momento) al 3 di aprile per tutta Italia” e che “tutti i docenti che in questi limiti temporali avevano (o hanno) un contratto di supplenza hanno diritto alla proroga della supplenza”. Per poi nel successivo comunicato del 26 marzo affermare che “per i contratti già chiusi nel periodo precedente, pur avendo le stesse caratteristiche, non si potrebbe far nulla”. E definitivamente prendere atto, nel comunicato del giorno successivo, che la nota MIUR circolata in bozza “è importante perché risponde all’ interrogativo di questi giorni, ossia la decorrenza della proroga dei contratti dei supplenti temporanei” e che “contrariamente alla nostra interpretazione, secondo questa nota la decorrenza per la proroga dei contratti sarebbe il 17 marzo”.
Con buona pace degli oltre 6000 dirigenti scolastici che (tra l’altro, e con altra sigla appartenente allo stesso patron, si pretende di tutelare!), in qualche maniera mandati allo sbaraglio nel prorogare contratti a fronte di prestazioni, relative al periodo pregresso (ante 17 marzo 2020), non erogate. Un chiaro e lampante esempio di conflitto di interessi del nuovo sesto soggetto che, solo per questioni di cassa, vorrebbe tutelare con una sigla docenti e ATA, e con un’altra i dirigenti convinto che la categoria non si renda conto che il patron è sempre lo stesso.
Certo, non siamo nuovi a smentite postume da parte del MIUR, dettate più da esigenze di equilibri di sistema, che da razionali canoni ermeneutici. Così come non siamo nuovi a circolari che smentiscono se stesse piegandosi ai suddetti equilibri. Ma una cosa è offrire alla categoria un’interpretazione la più garantista possibile e meno attaccabile in sede contenziosa, non potendo ravvisarsi nel caso specifico, ipotesi di dolo o colpa grave, un’altra è dare in pasto alla stessa, già alle prese con mille congerie amministrative e didattiche, soluzioni spacciate per certe, salvo poi smentirle platealmente, quando oramai però i dubbi si sono già abbondantemente sedimentati tra i dirigenti scolastici, stretti nella morsa tra un presunto danno all’erario (se prorogano) ed un prevedibile ricorso al giudice del lavoro (se non prorogano).
Ma non sarà proprio questo l’obiettivo? Più i ds sbagliano e più i ricorsi aumentano!
Chissà – conclude il Presidente Fratta – che questa sia la volta buona che la categoria si renda conto che le organizzazioni sindacali possono tutelare una sola categoria di lavoratori. Solo nel Bel Paese, e solo nel mondo della scuola, una stessa O.S. rappresenta comparto e AREA. Ma c’è di più! Una stessa persona è il patron di ben quattro sigle sindacali e, addirittura, è aderente a due Confederazioni: in una con la sigla dei docenti e nell’altra con la sigla dei dirigenti. Non avendo il dono dell’ubiquità quando entrambe le confederazioni sono convocate insieme in una è costretto a delegare un altro soggetto. Con finirò mai di chiedermi come sia possibile che una categoria di dirigenti non si renda conto di questa evidente anomalia?”