Con il Decreto legge n. 45 del 7 aprile 2025 il Governo ha previsto una serie di misure urgenti per l’attuazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) ed al contempo garantire un avvio ordinato del prossimo anno scolastico. Di particolare rilevanza appare l’attuazione della Riforma degli istituti tecnici in accordo con la Missione 4- C1 – Riforma 1.1. Il riordino vedrà la luce a seguito dell’emanazione -entro 180 giorni dalla pubblicazione del decreto- di apposito regolamento, dispiegando gli effetti dall’anno scolastico 2026-27.
La riforma negli obiettivi del PNRR mira ad allineare i curricula alla domanda di competenze che proviene dal tessuto produttivo del Paese, in particolare verso l’output di innovazione del piano nazionale Industria 4.0 e la profonda innovazione digitale in atto in tutti i settori del mercato del lavoro.
È certamente un tema che merita un approfondimento accurato e chiarificatore per le istituzioni scolastiche.
In primis va sottolineato che l’art. 1 del decreto legge 45 introduce -unitamente ai tre allegati- una serie di novelle al decreto-legge 23 settembre 2022, n. 144, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 novembre 2022, n. 175.
Gli istituti tecnici, caratterizzati da nuovi indirizzi e nuovi quadri orari, faranno riferimento al contesto formativo TVET (Technical, Vocational Education and Training).
Ai giovani saranno “offerte prospettive di qualificato inserimento nel mondo del lavoro o di prosecuzione degli studi, anche con carattere di specializzazione. I profili dell’istruzione tecnica sono legati alle figure professionali del sistema degli ITS Academy, alle lauree professionalizzanti e alle lauree STEM (Science Technology Engineering Mathematics) in raccordo con il sistema economico-produttivo locale, nazionale e internazionale.”
Vale la pena sottolineare che, nonostante alcune analogie, non c’è alcun collegamento con la riforma della filiera tecnologico professionale.
Il curricolo dei percorsi di istruzione tecnica verrà strutturato in un’area generale nazionale e in un’area di indirizzo flessibile, comprensiva di una eventuale area territoriale.
L’area di istruzione generale nazionale, comune a tutti i percorsi, sarà finalizzata allo sviluppo di una cultura di base essenziale per la formazione della persona, che include la relazione tra l’area umanistica e l’area scientifica- tecnologica.
L’Area di indirizzo flessibile sarà rivolta all’acquisizione delle competenze e dei saperi scientifico-tecnologici e giuridico-economici di carattere generale specifici dei diversi indirizzi. Nell’Area verrà ricompresa una quota del curricolo a disposizione delle istituzioni scolastiche per il potenziamento dei diversi insegnamenti, per l’introduzione di nuove discipline e per l’eventuale attivazione dell’area territoriale indirizzata allo sviluppo di competenze coerenti con le esigenze e i fabbisogni formativi espressi dal mondo del lavoro e delle professioni locali.
Senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, gli istituti potranno utilizzare, al fine di potenziare gli insegnamenti obbligatori di entrambe le aree e/o per attivare ulteriori insegnamenti, la quota di autonomia del 20 per cento dell’orario complessivo. Ciascuna disciplina non potrà essere decurtata in misura superiore al 25 per cento del suo complessivo monte ore nel quinquennio.
In coerenza con il PECUP potranno essere previsti spazi di flessibilità, nel limite del 30 per cento del monte ore del quinto anno.
Infine si evidenzia che il rilascio della certificazione delle competenze sarà prevista già dai primi anni di corso.
Siamo stati presenti sin dalle prime fasi di discussione al Ministero, intervenendo con puntualità sull’impianto della riforma. Fin da allora abbiamo evidenziato i limiti strutturali che essa porta con sé. Pur riconoscendo positivamente la scelta del Governo di concedere tempi più distesi per la sua attuazione — con un target fissato al 31 dicembre 2024 — non possiamo esimerci dal ribadire alcune criticità già segnalate.
In particolare:
- Autonomia e flessibilità, che potrebbero rappresentare il vero elemento di svolta all’interno della riforma, restano tuttavia misure difficili da concretizzare. Al momento, ci si limita ad applicare gli spazi previsti dagli ordinamenti vigenti, senza introdurre nuovi strumenti o risorse aggiuntive, né incidere sull’organico dell’autonomia, come previsto dall’art. 1, comma 63, della legge 13 luglio 2015, n. 107.
- La formazione del personale, leva strategica per dare respiro e concretezza a una riforma di tale portata, continua purtroppo a rimanere inefficace. L’attuale natura non obbligatoria della formazione per il personale docente rischia di vanificare ogni tentativo di innovazione, a meno che non venga affiancata da un intervento contrattuale che ne sancisca l’obbligatorietà come parte integrante del servizio.
In conclusione, auspichiamo che i tempi più distesi concessi alla riforma possano ora estendersi anche alle altre misure che, ad oggi, gravano sulle scuole. Misure di cui abbiamo più volte sollecitato una revisione temporale e che meritano la stessa attenzione e gradualità.