Si dice – e spesso si tace – che nella scuola italiana ci siano responsabilità diffuse, catene decisionali complesse, protocolli non sempre chiari e carichi di lavoro insostenibili. Ma quando esplode un caso mediatico, tutto si risolve in fretta: si trova un capro espiatorio, meglio se donna, meglio se dirigente. Ed ecco servita l’indignazione pronta all’uso.
Nel caso di Pistoia, il dispositivo è rodato: una dirigente scolastica stimata e apprezzata nell’ambiente, sospesa per un anno. Il docente imputato di violenza sessuale attende l’esito del Riesame. Le indagini faranno il loro corso – e noi non abbiamo né la pretesa né l’interesse di interferire – ma ci interessa, eccome, l’evidente sproporzione del provvedimento a carico della dirigente.
Un anno di interdizione. Un anno di silenzio coatto. Un anno in cui non potrà tornare nel suo istituto né in alcun altro della provincia. Non potrà insegnare, non potrà dirigere. E tutto questo mentre la stessa magistratura riconosce che non ci sono esigenze cautelari tali da giustificare i domiciliari. Dunque: libera sì, ma non troppo. Interdetta, come si faceva un tempo con le “donne di mala fama”. Squalificata, come se il sospetto bastasse a rimuovere l’autorevolezza.
E attenzione: non siamo tra coloro che negano l’esistenza di un problema, anche serio, nella classe docente. L’equilibrio, la selezione e la formazione continua sono temi veri, troppo spesso elusi, e che richiederebbero ben altri strumenti – e ben altra attenzione – da parte del decisore politico. Ma proprio per questo colpire il vertice istituzionale con questa violenza simbolica rischia di essere solo una scorciatoia mediatica, utile per evitare di affrontare i nodi veri.
E mentre tutto questo accade, ricordiamo che i dirigenti scolastici – coloro che dovrebbero reggere la complessità crescente delle scuole, mediare tra mille fronti, gestire risorse, crisi, emergenze – sono i meno considerati e pagati tra tutte le dirigenze pubbliche italiane. Meno della dirigenza amministrativa, tecnica, eppure caricati di responsabilità crescenti, rischio penale costante e un’aspettativa di impeccabilità che sconfina nell’assurdo.
E poi, c’è un fatto. Un piccolo, curioso dettaglio, che però vale la pena notare: è il secondo caso, nel giro di pochi mesi, in cui nella provincia di Pistoia dirigenti scolastici vengono sottoposti agli arresti domiciliari. Due su due. Senza voler indulgere in dietrologie, possiamo almeno dire – con sobrietà – che non sembra godere la dirigenza scolastica di grande gradimento presso la magistratura inquirente locale.
E in tutto questo, l’Amministrazione? Silenziosa. Fermo restando il rispetto dovuto verso gli atti della magistratura e la piena fiducia nelle istituzioni inquirenti, non si registra – neppure questa volta – una parola, anche solo formale, anche solo di circostanza, a tutela della funzione dirigenziale. Neanche un cenno di sostegno, un riconoscimento, una presa di posizione che distingua tra un’inchiesta in corso e la legittima difesa di un ruolo pubblico, istituzionale, di responsabilità.
E questo, diciamolo chiaramente, è un tratto solo dell’amministrazione scolastica. In nessun altro comparto pubblico – sanità, enti locali, università, pubblica amministrazione – si assiste a questo silenzio assordante, a questa sistematica omissione di parola. Ovunque, in situazioni analoghe, l’amministrazione sente il dovere di intervenire almeno con un segnale, un richiamo alla presunzione di innocenza, un riconoscimento dell’impegno. Nella scuola, invece, nulla. Solo un vuoto che sa di abbandono.
Non possiamo tacere. Non possiamo far finta che sia normale. Non possiamo rassegnarci all’idea che il dirigente scolastico sia il parafulmine eterno, l’anello debole su cui scaricare ogni responsabilità, vera o presunta.
Perché in questa vicenda non c’è solo una dirigente colpita: c’è l’intero corpo docente osservato con sospetto, raccontato come terra di abusi, di collusioni, di silenzi colpevoli. E invece servirebbe uno scatto d’orgoglio collettivo. Servirebbe una riflessione profonda su cosa può e deve fare un dirigente scolastico quando si trova in prima linea tra tutela, indagine, verità e protocollo. Servirebbe, insomma, un Paese che sappia distinguere tra la giustizia e giustizialismo.
Ecco perché, al di là della vicenda giudiziaria, noi rivendichiamo il diritto alla proporzione, alla misura, alla ragionevolezza. La misura è colma, sì. Ma non solo quella interdittiva. È colma l’ipocrisia di chi continua a ignorare il disagio sistemico della scuola italiana, salvo poi puntare il dito. È colma la distanza tra le responsabilità reali e le narrazioni che le travestono da scandalo. È colma la pazienza di chi ogni giorno manda avanti le scuole tra mille ostacoli e zero tutele.
Dirigenti scolastici, docenti, personale tutto: è ora di dire basta. E di chiederci, finalmente, a chi giova questo sistema che colpisce sempre in alto per non guardare mai in profondità.