Da ieri, una domanda insiste nelle nostre menti: l’inchiesta delle Fiamme Gialle che ha al centro un presunto caso di corruzione nella compravendita di titoli di sostegno nell’Università italiana scuote profondamente la nostra coscienza. Sebbene la presunzione di innocenza rimanga un principio fondamentale del nostro ordinamento giuridico, questa vicenda solleva interrogativi urgenti sulla questione morale, che non possiamo ignorare.
La problematica dei cosiddetti “diplomifici” – che vendono titoli di studio senza richiedere una formazione effettiva – rappresenta, forse, solo una parte di un fenomeno più ampio che coinvolge anche istituzioni statali. Queste dovrebbero, in primo luogo, garantire la qualità e l’integrità del processo di selezione dei docenti, per evitare che tali pratiche disoneste abbiano terreno fertile. Il coinvolgimento di docenti universitari e sindacalisti noti rende il quadro ancora più deludente, poiché mina la credibilità di un sistema educativo che dovrebbe essere basato sulla meritocrazia e sulla competenza e che dovrebbe collocare i rappresentati delle istituzioni, e coloro che difendono i lavoratori, al di sopra di ogni sospetto.
Per cui ci chiediamo: riusciranno le riforme del Ministro a risolvere questi problemi e, più in generale, a riformare la moralità del sistema scolastico? È difficile dirlo. Cambiare una struttura complessa come quella della scuola richiede tempo e, soprattutto, la volontà di andare oltre le soluzioni superficiali. Le riforme possono sicuramente migliorare la qualità del sistema, ma per garantire che le pratiche disoneste scompaiano, occorre intervenire anche sulle radici culturali e sociali che le alimentano. La vera sfida non è solo quella di implementare nuove leggi, ma quella di trasformare la mentalità di chi opera all’interno del sistema. Il cambiamento non può fermarsi alle modifiche normative, ma deve incidere profondamente nel tessuto culturale del sistema.
Un concetto che si rafforza specie in presenza di alunni disabili, di soggetti che hanno bisogno di interventi speciali, cui occorre garantire equità e parità di trattamento, attraverso il supporto di docenti altamente preparati da reclutare con seri criteri di selezione e l’introduzione di corsi di aggiornamento professionale obbligatori.
Non ci piace neanche ascoltare che l’idoneità dei docenti che hanno conseguito il titolo di specializzazione all’estero dipenda da una sentenza del TAR che, tra una sospensiva e l’altra fino ad oggi, contribuisce ad alimentare disorganizzazione e disorientamento, sostenendo la validità di detto titolo in contrapposizione con le determinazioni ministeriali.
Oltre il TAR, possiamo sperare nell’introduzione di ulteriori meccanismi di verifica delle competenze e di valutazione del “dipendente docente” immesso nei ruoli per effetto di una sentenza a lui favorevole ?
Noi riteniamo che si possa fare e che si debba fare, nel rispetto degli studenti e dei docenti competenti che popolano la scuola e le università italiane!!!!
E riteniamo, anche, che un simile meccanismo possa costituire argine e deterrenza per chi ha avuto accesso al mondo della scuola tramite canali meno trasparenti.
Se nella scuola italiana, l’inclusione dei disabili stenta a decollare, forse, nell’inchiesta odierna vi è la risposta. Nell’introduzione di procedure di verifica e valutazione continua dei risultati degli operatori della scuola vi è sicuramente la soluzione del cambiamento del sistema, da noi auspicato.