Inchiodati a un rigoroso poco onorevole mutismo sia il Ministero dell’istruzione che la Funzione pubblica, cui la pseudo-questione del Bonus premiale era stata rimpallata, la FLC CGIL ha rotto gl’indugi e con un trionfante comunicato del 26 settembre u.s. ha decretato che esso è stato “colpito e poi definitivamente cancellato dalla nostra iniziativa e dal contratto”, allegando a sostegno di siffatta perentoria affermazione una confusiva lettura, artatamente manipolatoria, delle fonti normative legali e pattizie.
E’ seguita subito la replica della pentastellata senatrice Granato, che con il consueto soave linguaggio che la contraddistingue si è invece intestata il merito di avere lei “iniziato la battaglia sul Bonus premiale mandando a segno un colpo mortale a questo indegno istituto della legge 107, che faceva passare la retribuzione per una mancetta data ad arbitrio di sua eccellenza il Dirigente Scolastico”.
Disinteressandoci del tutto dal prendere parte a quale dei contendenti spetti la primogenitura del vantato merito, possiamo ragionevolmente assumere che i dirigenti scolastici sanno ancora leggere e che, pur oberati dalla congerie dei defatiganti adempimenti di questo complicatissimo avvio di anno scolastico, il tempo per farlo riusciranno a trovarlo.
E che cosa dice realmente la legge e – anche – il contratto, che avrebbero “oramai dissolto” le pretese premiali?
Dice la menzionata legge di bilancio per il 2020 che “le risorse iscritte nel fondo di cui all’articolo 1, comma 126, della legge 13 luglio 2015, n. 107 (Bonus premiale) già confluite nel fondo per il miglioramento dell’offerta formativa, sono utilizzate dalla contrattazione integrativa in favore del personale scolastico, senza ulteriore vincolo di destinazione”.
E in effetti, con l’articolo 40 del CCNL 2016-2018 si era convenuto che dall’inizio dell’anno scolastico 2018-2019 fossero inglobate in un unico fondo per il miglioramento dell’offerta formativa (MOF) le risorse già definite nei precedenti CCNL e quelle rivenienti da disposizioni di legge: nelle quali ultime figurano per l’appunto le risorse di cui al comma 126 della legge 107/15, vincolate (originariamente) alla valorizzazione del merito del personale docente.
Peraltro queste ultime risorse, pari a 200 milioni di euro annui, sono state nello stesso articolo del testo negoziale contestualmente, e abusivamente, in parte trasferite – nella misura di 70 milioni per il 2018, di 50 milioni per il 2019, di 40 milioni a regime – nella voce della retribuzione professionale docente e non incontrando opposizione negli organi di controllo, presumibilmente perché l’operazione era a costo zero e pertanto ritenendosi di poter prescindere da qualsivoglia dubbio in ordine alla sua legittimità.
Dalle riferite disposizioni legali e pattizie è certamente incontestabile che una successiva norma (la legge 160/2019) di pari grado della legge 107/2015 sul piano della gerarchia delle fonti ha definalizzato le risorse di quel che resta del Bonus premiale.
Pertanto queste ben possono essere impiegate per qualificare l’offerta formativa sia per gli aspetti strettamente didattici che latamente organizzativi e di supporto, quindi rendendole accessibili indistintamente a docenti e ATA, a tempo indeterminato e a tempo determinato (supplenti annuali o sino al termine delle attività didattiche), siccome regolate dalla contrattazione integrativa d’istituto, come tutti i compensi accessori.
Ma la stessa definalizzazione vale se si vuol continuare a retribuire il merito, atteso che la legge 160/2019 non ha abolito, né esplicitamente né per implicito, i commi 127, 128, 129 nonché 130 dell’odiata creatura renziana.
Per l’esattezza resta fermo il comma 127, che rimette al Comitato per la valutazione dei docenti, così ridenominato e ricomposto nel comma 129, l’individuazione dei criteri sulla scorta dei quali il dirigente scolastico assegna (può continuare ad assegnare) annualmente al personale docente (“di ruolo”: comma 128) “una somma del fondo di cui al comma 126 sulla base di motivata valutazione”.
La stessa, che “ha natura di retribuzione accessoria”, è quindi contrattabile nei limiti in cui non contrasti con una norma imperativa, qual è in parte qua la legge 107/15, e precisati nell’articolo 22, comma 4, lettera c4) del CCNL 2016-2018, comparto Istruzione e Ricerca. Che, ferma restando l’elaborazione dei criteri tecnico-professionali del Comitato per la valutazione dei docenti, alla cui stregua il merito andrà remunerato, rimette alla contrattazione integrativa d’istituto la negoziazione dei “criteri generali per la determinazione dei compensi finalizzati alla valorizzazione del personale, ivi compresi quelli riconosciuti al personale docente ai sensi dell’art. 1, comma 127 della legge 107/15”.
E, sempre per quanto attiene al Bonus premiale, sono e restano soltanto “i criteri generali per la determinazione dei compensi” che vanno contrattati su proposta del dirigente scolastico.
A rinforzo di questa interpretazione, il comma 130 assegna al Comitato tecnico scientifico il compito di predisporre, in base ai criteri adottati dalle istituzioni scolastiche nel triennio 2016/018, le linee guida per la valutazione del merito dei docenti a livello nazionale: previsione peraltro a tutt’oggi inattuata, sicuramente per il blocco dei contratti durato dieci anni ma non meno per il rifiuto delle rappresentanze sindacali della categoria, saldamente ancorate a una massiva visione impiegatizia della docenza.
Alla luce di quanto dedotto, dal primo settembre 2020 sono allora possibili tre scenari, tutti legittimi.
Il primo prevede che l’intera quota-parte di ogni istituzione scolastica del fondo nazionale dei 160 milioni di euro (in realtà si sono ridotti a meno di 143), stanziati dal comma 126 della legge 107/15, confluita nel MOF, sia utilizzata per premiare selettivamente i docenti di ruolo, nel rispetto delle procedure dianzi sunteggiate.
Che debbano essere solo docenti di ruolo lo dice il dato testuale del successivo comma 128, ma lo conferma lo stesso CCNI del primo agosto 2018. Che, tra gli altri istituti affidati alla sua regolazione, ha dovuto riconoscere che il MOF può essere altresì utilizzato per valorizzare i docenti, “ai sensi dei commi 126, 127 e 128 della legge 107/15”. E quindi, nel caso di specie, i “docenti di ruolo”.
Il secondo, all’estremo opposto, contempla che l’intera quota-parte di cui sopra venga destinata a integrare la remunerazione accessoria di tutto il personale – docente e ATA, a tempo indeterminato e a tempo determinato – per le prestazioni contrattuali aggiuntive e/o per gli incarichi non obbligatori conferiti, secondo criteri eminentemente quantitativi. Resta in tal caso quiescente il Comitato di valutazione allargato, che pertanto recupera la sua originaria composizione ristretta e le relative funzioni (ex articolo 11 del D. Lgs. 297/94). Così come resta inattivo l’intero dispositivo procedurale preordinato all’erogazione del Bonus premiale.
Il terzo scenario è una combinazione, a geometria variabile, dei primi due.
L’opzione dipende dal suo rapporto funzionale con la strategia del dirigente scolastico, che prende corpo nell’atto d’indirizzo per tutte le attività della scuola e delle scelte di amministrazione e di gestione compendiate nel Piano triennale dell’offerta formativa, poi elaborato dal Collegio dei docenti e approvato dal Consiglio d’istituto (art. 1, comma 14, legge 107/15). E quale che essa sia è buona per definizione siccome incensurabile nel merito, sia dall’Amministrazione che dagli organi di controllo.
Ma sappiamo perfettamente che i sindacati di comparto non lesineranno le pressioni sui dirigenti scolastici affinché dell’aborrito merito non resti traccia, neanche simbolica: stimando di avere facile gioco nell’attaccare gli anelli deboli della catena, lasciati soli a sbrigarsela dalla loro Amministrazione – che pure avrebbe funzioni di indirizzo e di supporto – in nome della salvifica autonomia scolastica.