Caso mai avessimo avuto un residuo di dubbio sulla non-equiparazione retributiva, l’ultimo comunicato di FLC CGIL l’ha spazzato via.
Difatti, il proprietario della golden share nel granitico cartello formato con CISL/FSUR, UIL Scuola/RUA, SNALS Confsal è pronto – avendone i numeri – a sottoscrivere per la propria controparte datoriale il nuovo contratto 2016/18, dopo che con la sua mobilitazione ha reso disponibili nella legge di bilancio 2018 gli stanziamenti aggiuntivi per un recupero, sia pure parziale, e un avvicinamento alle altre dirigenze pubbliche.
Evidentemente, stimando i dirigenti delle istituzioni scolastiche degli idioti allo stadio terminale, rivendica poi l’ulteriore merito dell’essere state spalmate le risorse per la sola perequazione di posizione parte fissa su tre esercizi finanziari, di cui – e lo si dichiara tranquillamente! – solo il primo coprirà il triennio di validità del contratto 2016/18 in corso di rinnovo.
Dunque, vanno in cavalleria tutto il 2016 e tutto il 2017, oltre al secondo semestre 2015, che pure sarebbe coperto dalla sentenza della Corte costituzionale n. 178/15, laddove ha statuito l’illegittimità sopravvenuta della lunga moratoria negoziale di tremontiana-montiana memoria ed imposto l’obbligo di un contratto utile, di effettiva tutela della categoria di riferimento, che a parità di prestazioni dirigenziali assicuri parità di retribuzione dirigenziale.
Conseguenze, delle quali menare vanto: nulla per coloro che sono andati in pensione nel 2016 e nel 2017; qualche briciola per chi sarà collocato in quiescenza nel 2018; l’equiparazione della posizione di parte fissa dal 2020 per chi sarà rimasto in trincea. E neanche una parola sulla non meno sperequata retribuzione di posizione variabile e sulla sperequatissima retribuzione di risultato. Insomma, siamo usciti dalla riserva indiana dell’area quinta ma restiamo lo scarto della neo istituita area dirigenziale Istruzione-Università-Ricerca.
Dobbiamo però onestamente riconoscere la coerenza di chi ritiene che ciò sia più che bastevole, perché le ulteriori risorse aggiuntive che chiederà dovranno servire per l’equiparazione delle retribuzioni di tutti i lavoratori del comparto istruzione e ricerca a quelle europee, a partire dal personale della scuola, cioè del socio di, schiacciante, maggioranza.
Vorremmo però conoscere la posizione del sindacato dichiaratamente professionale nei suoi riferimenti culturali come nella sua azione, che proprio quest’anno celebra il trentennale della propria fondazione. Perché le versioni offerte alla discussione nell’imminente XI Congresso nazionale sono due, e non ci paiono proprio conciliabili.
Ritiene l’ANP che per la dirigenza qui e adesso…l’obiettivo della perequazione è la condizione minima per la nostra firma? E che non è disposta ad accettare niente di meno?
Oppure che, in considerazione del contesto sociale non favorevole e per il fatto che la categoria è percepita all’esterno in condizione di relativo privilegio rispetto alla generalità dei lavoratori dipendenti sarà bene prendere al volo il poco che c’è sul tavolo o perdere tutto?
Fuori dai denti, l’ANP andrà sempre a braccetto con gli esecrati sindacati generalisti di comparto, firmando per la quarta volta per un piatto di lenticchie?
Se è quest’ultima la versione autentica avrà compreso la ragione per cui l’unica altra organizzazione di dirigenti, solo da qualche mese approdata alla soglia minima di rappresentanza…ha fin dalle sue origini una vocazione alla contrapposizione pregiudiziale verso l’Anp.
Se invece rifiuterà di sottoscrivere un contratto delinquenziale potrà marciare insieme a DIRIGENTISCUOLA verso le aule dei tribunali della Repubblica – che non avranno più l’alibi delle diverse aree contrattuali nel respingere le istanze di equiparazione economica – e, occorrendo, verso la Corte europea dei diritti dell’uomo.
Ma deve dirlo subito e senza equivoci, sciogliendo una volta per tutte il suo storico comportamento ambiguo. Per un obbligo di verità verso settemila dirigenti scolastici e di rispetto dei propri soci.