Nell’incontro in remoto del 30 ottobre ultimo scorso con la ministra Azzolina non ci era parso di avere sentito, o forse ci era sfuggito, quello che poi, con inusitata sorpresa e rabbia crescente, abbiamo letto e riletto nel susseguente comunicato ufficiale dell’ANP: che nel rinnovo contrattuale del personale della scuola per il triennio 2019-2021, per quanto riguarda i dirigenti scolastici “si dovrà procedere nella direzione della continuità del processo di armonizzazione progressiva della retribuzione rispetto a quella degli altri dirigenti dell’area”.
Si può anche capire – a giustificarlo saranno semmai i colleghi loro iscritti – che i sindacati di comparto, compresenti all’incontro, abbiano volutamente ignorato la loro “controparte datoriale”, non facendo mistero di avere a cuore le retribuzioni del personale docente e ATA, che allo stato delle risorse previste nella legge di bilancio per il 2021 appaiono ben lontane dall’allineamento, sia pure tendenziale, ai livelli europei.
Ma fa decisamente specie che il qualificatosi più autorevole e più rappresentativo sindacato della dirigenza scolastica – con un eufemismo irritante, più che elegante – dica, nella sostanza, che la piena equiparazione retributiva con il resto della gran lunga meno complessa dirigenza pubblica – che nel proprio statuto anche rappresenta, insieme ai docenti sublimati nelle giuridicamente inesistenti alte professionalità – può ancora ben essere diluita su un indeterminato e infinito arco temporale.
Fa specie. Ma poi non più di tanto, se si considera che il suo ipermediatico Presidente è un dirigente tecnico, perciò appartenente a un’altra area contrattuale, quella delle Funzioni centrali, già più che perequata.
E noi che pensavamo di poter costituire con l’ANP un fronte comune per far definitivamente uscire i dirigenti scolastici, dopo essere stata faticosamente realizzata la perequazione retributiva di parte fissa, dal persistente status di figli di un dio minore!